Il dottor Ugo Albano è un assistente sociale specialista con esperienza professionale in Italia e all’estero, oltre ad essere giornalista pubblicista. Attualmente lavora in Emilia-Romagna.
Cosa l'ha spinta a intraprendere questo percorso professionale?
Sono arrivato a questa professione per caso. Quando ero giovane svolgevo un’attività nel campo delle telecomunicazioni, ero e sono infatti un perito tecnico, quindi abituato al fatto che ogni cosa è logica, ovvero che 1 + 1 = 2. Mi affascinava però la ricerca della giustizia e della verità, e ciò per fede. Ero e sono ora cristiano; allora ero infatti attivo nel volontariato. Nello scegliere cosa studiare, tra teologia ed altro, mi capitò di considerare la scelta di servizio sociale. Mi rendevo conto che nell’aiuto, oltre alla base etica, ci vuole competenza. Non basta “voler” aiutare, bisogna “saper” aiutare”. Ed è così che il perito tecnico Ugo Albano arrivò sui banchi del servizio sociale: unico maschio in un mare di femmine!
Dove trova la forza, il coraggio e la grinta per affrontare una lunga e faticosa giornata lavorativa?
Bella domanda! Oggi ci vuole tanto coraggio e tanta grinta per aiutare in un’organizzazione pubblica, che è quella in cui lavoro. Ci vuole tanto coraggio specialmente perché le organizzazioni pubbliche non aiutano, bensì praticano l’aiuto per fini di consenso politico. Lo dico dopo trent’anni di servizio. Quel che mi da la forze di resistere è la fede. Sulla porta del mio ufficio c’è questo cartello: “L’amore fraterno resti saldo. Non dimenticate l’accoglienza: alcuni, praticandola, senza saperlo hanno accolto degli angeli" (lettera di Paolo agli Ebrei, cap. 13, 1-2).
Cosa significa per lei essere un bravo assistente sociale?
Essere un fratello, un compagno di strada, una persona di fiducia. Amo infatti da sempre un approccio “alla pari”, l’approccio “asimmetrico” non mi appartiene. Basta vedere il mio ufficio per capirlo: non ho la scrivania, io e l’interlocutore ci sediamo davanti, ci guardiamo negli occhi, ci tocchiamo. Per me questo è il “mio” modo di essere assistente sociale. Rispetto però chi lo fa in modo diverso: basta che lo faccia con metodo e con coscienza. Ecco la risposta: un bravo assistente sociale fa questo lavoro in scienza e coscienza, cioè con metodo chiaro e con un governo etico più che chiaro.
Un assistente sociale a Bari e non solo, fatica a trovare lavoro. Che consigli darebbe?
A Bari e non solo gli assistenti sociali sono drogati. Così come il tossicodipendente vede solo l’eroina per stare bene, allo stesso modo gli assistenti sociali vedono solo il “posto pubblico”. Così come il tossicodipendente si riabilita prima facendosi l’astinenza, allo stesso modo l’assistente sociale – di questi tempi più che mai! – deve soffrire per rielaborare la propria identità. Quindi, premesso che i concorsi pubblici sono bloccati (grazie a Dio, così si evita di morire in queste burocrazie), occorre guardare oltre. C’è un “mercato del welfare” da conquistare, c’è la libera professione, che un non-profit in sviluppo. Il consiglio che do ai baresi (e non solo) è questo: non emigrate. State a casa e fate la rivoluzione nel welfare locale. C’è tanto da fare a Bari (e non solo). Bisogna solo capire che oltre al Comune (di Bari, e non solo) c’è altro.
Un suo sogno nel cassetto...
Fare il contadino. Sento il “ritorno alla terra” come una prospettiva importante per me, che richiama il mio “essere figlio del sud” verso il mio DNA etnico. Mi piacerebbe vivere in una masseria assieme ad altre famiglie. Il mio lavoro ideale, oggi come oggi, sarebbe fare l’assistente sociale in una comunità terapeutica. Credo tanto nel lavoro come riabilitazione e nella campagna come contesto relazionale sano, a fronte di queste città (Bari e non solo) che costringono le persone a vivere male, ad ammalarsi, a morire senza un senso.
Ilaria Staffulani
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